Lezioni di volo

G. considerò con occhio critico le sue Crocs nere e l’aspetto vitreo dei sei rettangoli di cemento, intervallati da pietre di torrente pagate come il caviale. Portavano invariabilmente dalla veranda coperta alla porta del garage. D’estate, l’erba avrebbe solleticato le sue caviglie.

Ma una coltre bianca vecchia di 6 settimane e il numero 17 preceduto dal segno meno, intravisto sullo schermo dell’Iphone, gli avevano infuso una strana inquietudine. “Sono 6 passi”, calcolò G. con malcelato orgoglio aritmetico. Alzò lo sguardo oltre il recinto del giardino e lo puntò verso il lago, che anche quella mattina rifletteva il nulla. K., la figlia di 8 anni dai sadici, grandi occhi blu, lo aveva appena distratto dalle cronache italiane, cantando l’aria natalizia di “O shish kebab” sulle note di “O Tannenbaum”. K. era così. Mixava tutto senza pensarci. Triturava la postrealtà  in un flusso caotico che faceva dubitare delle sue facoltà cognitive, rilasciando meteore di pensiero che arrivavano a tradimento da distanze siderali, come un’astronave klingon.

“Papino, Prodigy non funziona se non lo carichi da Chrome”, aveva appena verbalizzato. G., che era in apprensione per le condizioni di salute del nuovo primo ministro italiano, aveva in cuor suo stabilito che quella della figlia era un’affermazione, e non una domanda. Rinfrancato vigliaccamente, poggiò il piede destro sul primo rettangolo. In modo non del tutto incongruo, gli vennero in mente le parole di un Armstrong astronauta: “E’ un piccolo passo per un uomo, ma un grande balzo per l’umanità”. L’arco che il corpo di G. descrisse nell’aria cominciò dalla mattonella due ed effettivamente si proiettò nel cielo, tangenzialmente all’orbita del pianeta, con una grandiosità epica. Mentre volava incontro al suo destino, gli vennero in mente le parole di un Amstrong trombettista: “What a wonderful world”.

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