Ora che ho il diritto di risiedere in Canada e la patente, ho anche il diritto di cercarmi un lavoro. Il business dell’importazione di olio e le bambine a scuola di mattina mi lasciano abbastanza tempo per un lavoro part-time, o per un tempo-pieno pagato a sufficienza per assumere una baby-sitter.
Provo a disegnare la mia traiettoria individuale nel mare aperto delle statistiche, evitando – ma non é facile – di nascondermi dietro ai miei cinquant’anni, 20 dei quali spesi dietro a una scrivania, alla laurea e un capitale relazionale non spendibili da queste parti, ad un’esperienza professionale legata a doppio filo con la lingua italiana.
L’economia canadese tira, non ci sono dubbi: la disoccupazione nel Paese é al 7,1%, ai minimi da 4 anni a questa parte, negli ultimi 12 mesi sono stati creati 312 mila posti di lavoro e anche i salari sono aumentati del 3% nel 2013, due punti percentuali sopra dell’inflazione.
C’é posto per me in questa istantanea? Cerco di non guardare il mondo dal mio ombelico. Non ho esperienza di cosa sia cercare un posto di lavoro a 20 anni, posso solo immaginare la frustrazione, lo sconforto, la rabbia dei milioni di giovani italiani di fronte a un futuro che non può cominciare. Posso solo parlare della mia esperienza. Sono un privilegiato che ha potuto prendersi il rischio di ricominciare da zero. Ma é da zero che ricomincio.
Continuo a bighellonare tra le statistiche. Lo stipendio da Primo Ministro non è male: 317 mila dollari all’anno, ma la posizione é occupata, Harper ha ancora due anni di mandato e io non voglio aspettare tanto. I 308 parlamentari portano a casa 157 mila dollari all’anno, mentre i 108 senatori si fermano a 135 mila, ma se passano col rosso o non pagano il biglietto in metropolitana vengono messi alla gogna. Per non parlare delle complicazioni e dei costi di una campagna elettorale…
I giudici (260 mila $) guadagnano piú degli avvocati (160 mila $) e dei manager d’azienda, che viaggiano tra i 190 e i 205 mila dollari all’anno.
Medici di famiglia (180 mila $) e dentisti (170 mila) se la passano bene anche qui, ma la societá canadese dimostra di investire soprattutto sull’istruzione: un maestro elementare o un insegnante di liceo con 15 anni di anzianitá guadagnano piú di 70 mila dollari all’anno, una volta e mezzo i 46 mila dollari del salario medio nazionale, i docenti universitari di ruolo (115 mila dollari) sono tra i piú pagati al mondo.
Nel settore manifatturiero, gli operai portano a casa 54 mila dollari all’anno, 10 mila in piú degli impiegati di banca, ma 6 mila in meno dei dipendenti pubblici.
L’information technology paga bene: lo stipendio medio d’ingresso é di 45 mila dollari all’anno, ma si arriva rapidamente a oscillare tra i 70 e i 100 mila dollari all’anno. Bene anche i giornalisti: si parte da 54 mila dollari l’anno e si arriva a 75 mila in 5 anni.
Dove gli stipendi sono largamente al di sotto della media é nel settore della ristorazione, un approdo classico per gli immigrati, anche qualificati. Lo chef di un ristorante elegante può guadagnare 90-100 mila dollari l’anno, ma il cuoco di linea di un fast food non arriva a 20 mila.
Per capirne un po’ di piú, occorre considerare che le tasse federali sui redditi si articolano su 5 aliquote: non paghi niente se guadagni fino a 11 mila dollari, poi paghi il 15% tra 11 mila e 43 mila, il 22% tra 43 mila e 87 mila e il 26% tra 87 e 135 mila. Il reddito oltre i 135 mila dollari viene tassato al 29%.
Alle tasse federali occorre aggiungere le tasse provinciali (che alimentano sostanzialmente il sistema sanitario): si parte dal 5% sui primi 37 mila dollari di reddito, e si arriva al 14,7% per il reddito che eccede i 105 mila dollari.
Risultato: una famiglia monoreddito viene tassata al 20%, un lavoratore single al 30% e piú in generale la pressione fiscale é inferiore del 20% a quella italiana.
Sono anche un immigrato digitale e quindi mi immergo nella lettura giornaliera di siti come Indeed o Jobrapido. Dove trovo perle di rara bellezza.
Come questo corso per diventare operatore petrolifero. Costa tra i 5000 e gli 8500 dollari, dura 20 giorni e ti assicurano l’assunzione il giorno dopo la fine del corso. Ti forniscono casco, guanti, occhiali protettivi, scarponi con la punta d’acciaio. L’industria del petrolio estratto dalle sabbie bituminose ha bisogno di 15 mila lavoratori entro il 2015. Paga iniziale: da 65 mila a 140 mila dollari all’anno in un Paese dove il salario medio, come detto, è di 46 mila dollari. Dopo 3 o 4 anni, se hai resistito, lo stipendio puó arrivare a 200 mila dollari all’anno.
Assumono donne e uomini, di età compresa tra i 18 e i 65 anni. Non occorre alcuna esperienza (probabilmente contano su questo: altrimenti non saresti lì…), devi avere la patente, non fare uso di droghe (non vale l’autocertificazione: fanno un bel po’ di test a campione. Mi chiedo se li facciano anche quando dai le dimissioni o vai in pensione… ), devi essere in una “ragionevole” forma fisica, aver voglia di lavorare duro e di “divertirti”.
D’inverno si lavora a quaranta gradi sottozero, ma c’è gente che viene dall’Etiopia per afferrare la propria fetta di benessere.
Leggendo queste inserzioni di lavoro capisco quanto il Canada abbia venduto anima al diavolo per diventare la terza superpotenza mondiale negli idrocarburi, con riserve accertate per 175 miliardi di barili, alle spalle di Arabia Saudita e Venezuela. Basta che il prezzo al barile sia sopra gli ottanta dollari perché l’estrazione dalle sabbie bituminose sia conveniente: sono in ballo 392 miliardi di dollari di investimenti, piú di 3 milioni di anni/uomo di lavori, quasi 2000 miliardi di dollari in aggiunta al Pil nei prossimi 25 anni.
Estrarre il petrolio é peró solo una parte del problema: il petrolio poi bisogna trasportarlo. Gli oleodotti esistenti sono al massimo della capacitá, e farne di nuovi é virtualmente impossibile per l’opposizione degli ambientalisti e per l’opportunismo dei politici, che chiedono la loro fetta di torta per far passare il greggio sul territorio della loro provincia e permettere così all’Alberta, dove sono le sabbie bituminose, di vendere il suo petrolio. Anche il progetto di oleodotto per portare il greggio alle sottoutilizzate raffinerie in Texas segna il passo dopo la rielezione di Obama alla Casa Bianca.
Diverse compagnie hanno dovuto ricorrere ad una soluzione ottocentesca come il treno: convogli da 100 carrozze carichi di petrolio scorrazzano per il Paese e gli incidenti con conseguenze catastrofiche come quelle di Lac Megantic (47 morti non piú tardi di 6 mesi fa) sono diventati parte dell’equazione.
Gli Stati Uniti, come sempre, giocano un ruolo geopolitico decisivo: da un lato, sono il principale importatore di petrolio canadese, dall’altro ne determinano il prezzo al ribasso, visti i programmi di estrazione del petrolio dallo shale gas, una tecnica estrattiva che potrebbe portare gli States all’indipendenza energetica entro il 2030.
Anche la Cina é interessata al petrolio canadese, ma gli oleodotti per portarlo dalle coste della British Columbia non ci sono ancora e le riserve di shale gas nel Paese del Dragone sono pronte per essere sfruttate a breve.
Il contrasto sviluppo-ambiente non potrebbe essere piú stridente: l’area dove si estraggono le sabbie bituminose é grande come l’Italia ed é stata letteralmente devastata negli ultimi 30 anni. Il Canada si é chiamato fuori dal Protocollo di Kioto per non pagare 14 miliardi di dollari di sanzioni per il mancato rispetto degli impegni sul contenimento della CO2: i conservatori accusano i liberal di avere preso impegni insostenibili, i liberal imputano ai conservatori di aver fatto fare al Canada la figura dello scolaretto che si dà malato per non sostenere un’interrogazione.
Nel mio piccolo, prendo posizione: diciamo che la mia coscienza ecologica non mi permette anche solo di considerare un lavoro del genere, per non parlare del fatto che si tratterebbe di vivere in condizioni proibitive, lontano dalla famiglia.
Ma per fortuna la lista dei lavori disponibili é lunga. Questa mattina, ad esempio, ho calcolato almeno una ventina di offerte rivolte a professionisti sanitari (oncologi, tecnici di laboratorio, infermieri). Cercano informatici di ogni tipo: sistemisti, web designer, bioinformatici, sviluppatori di software. E poi operatori di macchine movimento-terra, manutentori, carpentieri, addetti alla sicurezza, croupier, barista.
Il settore agroalimentare è il fiore all’occhiello dell’Okanagan Valley. Faccio un esperimento durante la vendemmia nella winery dove lavora Teresa: mi mescolo ai fricchettoni che arrivano dalla costa orientale. Ognuno di loro potrebbe essere un mio errore – e che errore – di gioventú: 20 anni, capelli da rasta, lo sguardo reso beffardo, o stupido, dalla cannabis.
I kapò della winery mi danno un paio di forbici, dispongono una cassetta ogni 10 metri lungo i filari e mi dicono “good luck”. Io inspiro profondamente l’odore della terra, i profumi della vite, mi infilo nel tunnel verde di due filari paralleli e comincio, leggiadro, a tagliare i grappoli. Snip. Snip. I grappoli si arrotolano intorno ai fili d’acciao. Snip. Certo, avessero lasciato un pó piú di spazio tra un grappolo e l’altro. Snip. Sento fresco a un dito. Ho tagliato un pezzo di guanto. Comincio a innervosirmi. Snip. Snip. La schiena fa male: cambio posizione. Meglio procedere a carponi. Indosso le ginocchiere che non pensavo di dover usare.
Gli snip snip dall’altra parte del filare sono piú veloci dei miei. Molto piú veloci dei miei. Una macchina da scrivere contro una penna d’oca, da inchiostrare ogni 5 o 6 parole.
Il tramonto é arrivato, Teresa viene a recuperarmi, il mio vascone di plastica é pieno per due terzi. Uno pieno viene pagato 60 dollari, il fricchettone di 20 anni con i dreadlock ne ha riempiti due nello stesso intervallo di tempo.
Il proprietario della winery finge di essere arrabbiato e chiede di chi é stata l’idea: tutti sanno che un italiano che fa la vendemmia sicuramente organizzerá un sindacato e tutto andrá a puttane. Penso, ma non dico, che pagare a cottimo significa andare sotto il minimo salariale di 10 dollari e 40. Il giorno dopo sono dal medico. Borsite alle rotule. La mia carriera di vendemmiatore é finita, senza troppi rimpianti da ambo le parti. Da domani gioco in casa: comincio a dare lezioni di Italiano a domicilio e a fare catering con un amico chef, mettendo a reddito, si spera, la mia ossessione per il cibo e una “qualifica” che nessuno mi può contestare: l’essere italiano.
Sono ossessionato dal cibo. Lo sono sempre stato. Sono stereotipicamente italiano anche in questo. Da quando vivo in Canada, però, l’ossessione ha fatto un salto di qualitá, nobilitata, o forse solo incattivita, com’è dal suo essere diventata identitá da ostentare. “L’uomo é ció che mangia”, diceva Feuerbach, soprattutto quando vive all’estero, aggiungo io, emigrato per caso. E così sospiro maneggiando contenitori di Gombozola, singhiozzo senza ritegno mentre saggio la consistenza di una mozzarella fuoriuscita, rimbalzando come una palla magica, da una vaschetta imbandierata col tricolore. Oppure mi indigno scorrendo l’etichetta di bottiglie d’olio in cui l’Italianitá è espressa al superlativo, ma non c’è la data di scadenza. E capita, quando servo il caffè agli ospiti, che accarezzi pensosamente la Bialetti da 16 tazze con lo stesso amore di un artigliere tedesco per la Grande Berta.
E’ tutto un fiorire di prodotti “Italian sounding”, di marchi sconosciuti da noi, ma che scimmiottano un Bel Paese onirico, come se gli anni ’50 non fossero mai finite.
Intorno a me questo alone di misticismo allucinato intimidisce non solo i vicini di casa, che si emozionano di fronte a un ragú “home made”, ma anche gli chef nostri clienti, globetrotter che hanno pelato le patate da Gordon Ramsey a Londra o cucinato per la Regina in visita di Stato. Arriva, prima o poi, il momento in cui incrociano il tuo sguardo e ti sparano a bruciapelo la domanda che non li fa dormire di notte: “ma la polenta, in Italia, si fa sempre col mascarpone?”. Tu, che sei Italiano e queste cose le devi sapere da quando hai messo il primo dente, dispensi la tua logica aristotelica: “no, non si fa sempre col mascarpone”, inclusivo e falso rispetto al vero ed esclusivo “non si fa mai col mascarpone”. Gli unici che non si intimidiscono sono i Francesi espatriati, che si confermano dei grandissimi stron…catori del cibo altrui. Ce n’é uno, in particolare, che mi manda in bestia: un ex-manager Renault che ora sforna croissants e che sostiene che la parola “italiano” non si può accostare alla parola “ristorante”, ma al massimo alla parola “trattoria”. Mi fa venire la voglia di rigiocare Italia-Francia a ruoli invertiti, con Materazzi nella parte del caprone inferocito.